Solchi

Abbiamo cicatrici fonde e ferite aperte in cui infilarci le dita a vicenda per misurare la vita sul metro del dolore.

Abbiamo occhi affogati dal tempo che vedono acqua dappertutto…

E orecchie abituate al canto delle sirene pur sapendo che l’abitudine non può impedirci di impazzire. Lasciamo sassi indietro per poter andare avanti e ci aggrappiamo a quel ricordo di un urlo sordo, per ricordarci che nonostante tutto, abbiamo continuato a seminare passi saldi.

Abbiamo un’anima di vetro, alla portata di tutti, che se cade va in frantumi e noi continuiamo a giocarci a palla e un mezzo cuore sepolto sotto le rovine che ancora pulsa sangue e resiste, calpestato dal passo distratto di chi vede solo foglie, dista anni luce da noi che lo cerchiamo ancora dentro un armadio e ci è rimasta solo la pelle per sentire; camminiamo su nuvole di fumo e scendiamo a terra ogni tanto per avere una parvenza di normalità come chi ride e sa parlare anche di niente.

Abbiamo lasciato unghie sui muri e lacrime ad annaffiare l’asfalto e consumato le mani pregando un Dio troppo impegnato evidentemente in altro e abbiamo camminato talmente tanto che arrivati alla meta riusciamo quasi a percepire solo lo sfinimento.

Abbiamo mani che tremano e vorrebbero tenere in equilibrio il mondo e talmente tanto freddo nelle ossa da aver voglia di dormire in mezzo a un fuoco acceso.

Abbiamo speranze stropicciate cadute a terra che fa volare il vento e noi come una danza ci giriamo intorno per riportarle a terra.

Abbiamo ciglia umide e sguardi impauriti anche dietro un’armatura e fili intrecciati di ricordi e mani perse tra la folla.

Ho creduto nelle favole un tempo… tu che ci credi ancora, tienimi la mano, perché questa notte piena di luce fa ancora più paura.

Karen Lojelo

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

[da Ossi di seppia, 1925] Eugenio Montale

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