Castelli di carta (racconto breve)

Certe volte pensava che il suo mondo si reggeva su un castello di carte. Si ricordava suo nonno quando da bambina le aveva insegnato a costruirne di altissimi, e le diceva sempre: “Rebecca ricordati sempre però che basta un soffio per buttarlo giù”, poi soffiava e tutte le carte finivano sul pavimento lucido. Maioliche bronzate con una passata di cera sempre fresca. Allora lei scendeva a raccoglierle ma poi vedeva le pattine della nonna che mentre passava la cera cantava sempre: “Sola me ne vò per la città” e cominciava a scivolare sul pavimento correndo su e giù per il lunghissimo corridoio.

Si ricordava di un pomeriggio in cui il nonno era andato a prenderla a scuola e tornando a casa lei ad un certo punto aveva chiuso gli occhi camminando e stringendo più forte la mano di suo nonno. Si era detta che voleva fissare quel momento nella memoria allora aveva strizzato fortissimo le palpebre come se chiudendo gli occhi più che poteva fosse più facile cristallizzare nella mente quell’attimo. Sapeva che il nonno non ci sarebbe stato per sempre ed era terrorizzata dall’idea della sua morte. Voleva essere sicura che almeno lo avrebbe ricordato bene, com’era averlo accanto.

Il nonno non si era accorto che lei continuava a camminare con gli occhi chiusi solo guidata dalla sua mano. Lei continuava a pensare a tutte le cose che voleva ricordare e un altro strano pensiero le era balenato per la mente: avrebbe voluto ricordarsi di quell’attimo da grande, esattamente nel giorno più felice della sua vita; così se il nonno non ci fosse stato lei lo avrebbe sentito lo stesso vicino in qualche modo.

Aveva l’età in cui si comincia a capire che non si può vivere per sempre, che esiste anche la morte, e, certe volte, si chiudeva in bagno a piangere immaginando il giorno in cui i nonni non ci sarebbero stati più.

Rebecca ancora non sapeva cosa avrebbe fatto da grande, cambiava idea in media ogni due giorni, aveva pensato di voler fare la ballerina, poi il capo di una grande azienda, le sarebbe piaciuto anche diventare una giornalista… ma probabilmente non sapeva bene in cosa consistesse nessuno dei lavori che le venivano in mente.

Di una cosa era certa, lei voleva essere felice da grande, come se fosse uno stato di cose da raggiungere con la maturità, come se essere felici fosse qualcosa che si impara e soprattutto si conquista. Adesso pensava che forse quella felicità tanto anelata era molto più facile raggiungerla a otto anni che in seguito, anzi che forse nonostante tutto era stata molto più presente in quel periodo della sua vita che successivamente.

C’era stato un giorno davvero felice, c’era stato eccome, e in quel momento se l’era ricordato suo nonno, quella mano grande che la guidava e che non l’avrebbe mai lasciata per niente al mondo. Quel giorno aveva perfino capito perché proprio quel giorno aveva fatto quello strano esperimento, forse, nonostante fosse molto piccola, inconsciamente era consapevole del fatto che sarebbe stato difficile ‘da grande’ sentirsi di nuovo come in quel momento: al sicuro, con qualcuno accanto che si sarebbe preso cura di lei in qualunque circostanza, nonostante tutto, senza mai lasciarle la mano.

Il giorno del funerale di suo nonno non aveva capito nulla, piangeva e basta, non era riuscita nemmeno a sentire l’omelia del sacerdote nella chiesa perché non era riuscita a smettere di piangere nemmeno per un secondo. Era già grande, non era ancora felice, e inoltre si sentiva in colpa perché era da tanto che non andava a trovare il nonno presa com’era dalla sua vita, dagli impegni, dal suo appartamento da arredare. Da quando era andata a vivere da sola passavano settimane intere senza che lei passasse da lui.

Lui la chiamava ogni giorno almeno tre volte e le faceva sempre la stessa domanda: “Hai mangiato?” Lei gli rispondeva di sì, e poi gli ricordava che glielo avevo chiesto già mezz’ora prima, si diceva che il nonno ormai era troppo vecchio e aveva problemi con la memoria; non sapeva quanto le sarebbe mancata quella semplice domanda dopo la sua morte, una domanda che pareva scontata e invece racchiudeva tutto l’affetto di cui si ha bisogno.

Rebecca si chiuse il cappotto, il sole cominciava a tramontare e iniziava a far freddo su quella panchina di villa borghese. Quella notte aveva sognato il nonno che le infilava 50 euro nella tasca dei jeans e al risveglio li aveva trovati davvero nella tasca di quelli che aveva appena ritirato dallo stendino, sicuramente una coincidenza, ma ad ogni modo era strano. Così era andata a fare una passeggiata in centro fermandosi su quella panchina a guardare la gente che passeggiava e il bellissimo panorama del pincio.

Castelli di carta… aveva ragione mio nonno, basta un soffio per buttarli giù.” Pensò Rebecca alzandosi e incamminandosi verso casa.

Karen Lojelo

//www.youtube.com/watch?v=6BBkS8XJJzo&feature=youtube_gdata

In cerca di te(Sola me ne vo’ per la città)-Nella Colombo

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