Dieci minuti

Lola guardava l’orologio… il tempo, chissà perché gli diamo così tanta importanza pensava. Il tempo, quello che aveva aspettato tanto, quello che aveva pregato passasse in fretta e che ora la spaventava. Improvvisamente sembrava correre troppo, le sembrava di averne perso tanto e che ora quasi non gliene rimanesse abbastanza. Tutto ad un tratto avrebbe pagato per averne di più, per poter tornare indietro. Sentiva gli anni che iniziavano a sfuggirle tra le dita. Si chiedeva per quanto ancora avrebbe potuto averne abbastanza. Abbastanza per riabbracciare qualcuno, abbastanza per poter vedere un altro tramonto, abbastanza per camminare a piedi nudi sulla sabbia. Abbastanza per potersi sentire felice un’altra volta. Per poter trovare un bel programma alla tv, per sentire un nuovo singolo alla radio di quelli che ti entrano subito nella testa e li ascolti a ripetizione fin quando non ne hai abbastanza. Si preoccupava di non avere più tempo per poter piangere in pace, per non fare nulla, tempo per riposare, per guardare il cielo, tempo per stare male. Ma sì, anche quello serve pensava Lola. L’idea di averne poco a disposizione sembrava toglierle perfino il diritto di sprecarlo.

Perché lei in fondo credeva fosse un diritto anche quello di poterlo sprecare.
Si chiedeva per quanto tempo ancora lo specchio avrebbe rimandato di lei la stessa immagine, sentiva che si avvicinava il momento in cui non si sarebbe più riconosciuta in quell’immagine riflessa, le rughe, i segni degli anni si sarebbero mostrati anche sul suo viso prima o dopo, e, quel dopo era sempre più vicino.

Lei se ne stava lì, sempre con quella stessa espressione. Che sorridesse o fosse affaccendata in qualche cosa, che fosse in silenzio o stesse parlando, aveva sempre quel velo sugli occhi dietro il quale pareva esserci un grande silenzio. Un silenzio pieno di cose non dette, trattenute, tenute strette. Era come una continua consapevolezza implicita, qualcosa che lei sapeva e non poteva dimenticare ma che si era raccontata e ripetuta e ricordata talmente a lungo che non aveva più bisogno di pensarci per sapere che era ancora lì. Un dolore misto alla nostalgia, un rimorso misto ad un rimpianto. Qualcosa che aveva perduto e le era rimasto tatuato addosso. Solo osservandola attentamente si vedeva che stava lì dietro al migliore dei suoi sorrisi, sempre presente.

Quella mattina tutto le sembrava insormontabile. L’ennesima ingiunzione di pagamento era arrivata, la sveglia non aveva suonato e lei per far presto ad uscire dal parcheggio aveva tamponato la macchina dietro. L’allarme aveva preso a suonare ed era arrivata tardi in ufficio. Il suo capo furioso le aveva detto che sarebbe bastato un altro solo ritardo e lei sarebbe stata fuori per sempre.

Sua madre l’aveva chiamata per ricordarle di andare a prendere la zia che arrivava dalla Svizzera e non ne aveva alcuna voglia. Il caffè le si era rovesciato sulla camicetta bianca, aveva imprecato. Non c’era nulla, assolutamente nulla che andasse bene nella sua vita quel giorno o perlomeno lei non riusciva proprio a vederlo, pensò fosse un problema di messa a fuoco, un problema di punti di vista, forse le sarebbe bastato cambiare angolazione, provò a pensare a tutte le cose che l’avevano resa felice; passarono almeno una decina di minuti prima che riuscisse a focalizzare tutti i suoi momenti felici… beh certo dieci minuti sono pochi, forse erano davvero di più le cose brutte, eppure quei dieci minuti brillavano talmente tanto che forse sarebbe valsa la pena andare avanti per averne anche solo un altro così.

Le sfuggì un sorriso. Mise in moto la macchina e si avviò verso l’aeroporto.

Karen Lojelo

Filed under: raccontoTagged with: , ,

Nessun commento ancora, aggiungi la tua opinione!


Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commento *
Name *
Email *
Sito

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.