Infelici e contenti

Marcello si trascinava lungo quel marciapiede fin troppo affollato, aveva dimenticato l’ombrello ma sembrava incurante del fatto che la pioggia si insinuasse dentro il colletto della sua camicia, non aveva nemmeno accelerato il passo. Ogni tanto qualcuno lo urtava ed era lui a chiedere scusa. Che importanza aveva in fondo di chi era la colpa…

L’appuntamento era alle 11.30 e sapeva di essere uscito da casa con largo anticipo. Non sapeva bene cosa aspettarsi da quella visita di controllo, anzi, non si aspettava proprio nulla. Erano tre anni ormai che era in cura e a lui sembrava non essere cambiato molto. I precedenti medici gli avevano cambiato pillole più e più volte senza alcun risultato. Sì forse gli attacchi di panico erano cessati, pensandoci bene anche gli sbalzi di umore lo erano. Ormai era stabile, stabile nella sua apatia, nella sua tristezza così educatamente e accettabilmente controllata.

Si guardò intorno, la gente iniziava a chiudere gli ombrelli finalmente stava spiovendo, perfino un timido raggio di sole si affacciò da dietro quell’alto palazzo del centro.

Da un mese gli avevano assegnato una nuova dottoressa, l’ultima volta che era stato lì lei lo aveva riempito di domande, gli aveva fatto raccontare un sacco di cose. A lui era sembrato strano, i suoi predecessori si limitavano a chiedere: “Come si sente signor Barletta?”, e poi riempivano la ricetta sempre con qualche nuova medicina.

Arrivò con venti minuti di anticipo e si sedette nella sala d’attesa sfogliando distrattamente una delle riviste a disposizione.

Il delitto del momento, lo scandalo del momento, la velina del momento, il suicidio del momento e così via; del resto quello era un mondo ‘del momento’ pensò Marcello. Era tutto precario, non solo il lavoro, lo erano i rapporti umani, gli stati d’animo, le star del cinema e della tv. Ognuno aveva il suo momento in quella società il problema era appunto che durava un solo ‘momento’.

Marcello chiuse la rivista e si mise a fissare il muro sovrappensiero… forse le persone non riescono a mantenere l’attenzione sulle cose perché si annoiano troppo facilmente, si sono abituate alla velocità con cui passano le immagini in tv e si aspettano che anche la loro vita abbia la stessa velocità, non sopportano le pause, nessuno sa aspettare, il concetto dell’usa e getta si è infilato sotto la pelle, dentro le ossa, ci si è abituati a buttare tutto dopo l’uso e così s buttano via i pensieri, l’affetto, la simpatia verso qualcuno, non si è più capaci di perseverare, si è dimenticata l’arte della costanza perfino per quanto riguarda i sogni e i desideri, li si cambia di frequente come se un sogno nuovo avesse più possibilità di avverarsi di uno vecchio, il vecchio suona male. Piacciono solo le novità…

Lui non era così, aveva voluto sempre le stesse cose, aveva ricordi di felicità che gli si erano appiccicati addosso e non accettava di averli perduti, aveva una chiara idea delle cose che aveva desiderato e non era riuscito ad ottenere o semplicemente a conservare. Le cose per lui ad un certo punto erano andate male e nonostante i suoi sforzi non era riuscito a riprendere in mano la situazione.

La dottoressa aprì la porta e con un sorriso lo invitò ad entrare. Gli chiese se era cambiato qualcosa dall’ultima volta che si erano visti e Marcello rispose di no. Allora lei gli chiese a cosa stesse pensando mentre aspettava il suo turno e Marcello le raccontò i suoi pensieri e altri particolari della sua vita, le sue preoccupazioni reali, le sue difficoltà nell’arrivare a fine mese, la mancanza che sentiva di qualcuno con cui condividere la vita. Era sposato da molti anni ma sua moglie non lo ascoltava e in sua compagnia si sentiva ancora più solo che se lo fosse davvero.

La dottoressa lo ascoltò in silenzio e poi gli disse che la prossima volta che si fossero visti avrebbe dovuto raccontarle qualcosa di diverso, lui aggrottò le sopracciglia e chiese un chiarimento a quelle parole, lei aggiunse che avrebbe dovuto trovarsi un interesse, qualcosa che lo appassionava, una cosa qualsiasi, gli suggerì di provare ad iscriversi a qualche corso. Marcello la guardò un istante e poi domandò: “Mi vuole cambiare le medicine?”

“No, le butti tutte” rispose lei, “… non esistono medicine per l’infelicità”.

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2 Commenti

  1. Non ci sono medicine per l'infelicità!!! 🙂

  2. Che bello ,che triste,ma anche molto vero,l’infelicità non è una malattia,non si cura con pillole.Più uno è infelice più la società lo evita, le persone ci vogliono vedere per forza  allegri …


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